Superbonus: cos'è?

Ha attirato l'attenzione internazionale sin dalla sua introduzione, nel maggio 2020: il Superbonus 110% era stato pensato per contribuire a rilanciare l’economia italiana, in ritardo e colpita duramente dalla crisi sanitaria legata al Covid-19. 
Offriva ai proprietari delle abitazioni un rimborso dell'intera somma spesa per ristrutturarle e per completare la riqualificazione energetica, più un premio del 10%. Il bonus poteva, in origine, essere riscosso in due modi:

                                              • con una detrazione fiscale spalmata su più anni
                                              • con una cessione del credito d'imposta, in cambio di uno sconto in fattura.

Ma è stata questa seconda possibilità a creare un'euforia senza precedenti, così c'è anche stato chi, ingolosito dalla possibilità di realizzare lavori senza mettere mano al portafoglio, si è imbarcato nell'acquisto di fabbricati da rimettere a nuovo, inoltrando regolare domanda di rimborso. 
Quale credito più sicuro di quello statale? L'intero settore edile ha colto al volo l'opportunità: la cessione di credito prevedeva, infatti, l'accettazione da parte delle aziende che dovevano realizzare i lavori, le quali, di fatto, pur di riattivarsi, hanno cominciato a fare man bassa di crediti, con la convinzione di scontarli in banca o cederli a loro volta. Nel frattempo, nelle case degli italiani sono arrivati gli operai che hanno cominciato i lavori.

 

Superbonus: i primi problemi già nel 2022

Tra incertezze e rinvii, il Superbonus ha passato due approvazioni del Governo. Ma se inizialmente tutto sembrava filare liscio, dopo due anni sono cominciati i problemi. A dare il via al disastroso effetto domino sono state le banche: quando hanno esaurito il proprio spazio fiscale (ovvero, quando il totale dei crediti acquistati ha pareggiato con le tasse da versare allo Stato) non hanno più potuto comprare. Di conseguenza, le ditte, sono rimaste con il cerino in mano, nell'impossibilità di ottenere i soldi. Tirando le somme, 4,42 miliardi di euro di crediti bloccati e aziende finite praticamente sul lastrico.
C'è di più: vista la difficoltà di interpretare il testo e le centinaia di modifiche e revisioni, anche gli istituti che potevano acquistare i crediti, di fatto, hanno rinunciato a questa possibilità, considerandola un investimento incerto e rischioso. Lo stallo ha avuto conseguenze a catena: sono migliaia le imprese finite sul lastrico, che non hanno potuto pagare gli stipendi o che hanno dovuto abbandonare i cantieri.

 


Superbonus: la revisione di febbraio 2023

A fronte della situazione che si era venuta a creare, l'edizione del Superbonus targata 2023 ha subito una modifica fondamentale: dal momento che gli spazi fiscali erano esauriti ovunque, la modalità del rimborso tramite cessione di credito è stata eliminata. Stavolta a farne le spese sono stati i proprietari, che hanno dovuto mettere mano al portafoglio o, nella peggiore delle ipotesi, rivendere gli immobili acquistati in assenza di disponibilità finanziarie.

 

Superbonus: la situazione attuale

Il meccanismo ha innescato reazioni senza precedenti: in difficoltà sono finiti non solo coloro che hanno presentato la domanda per ultimi, ma anche chi ha avviato i cantieri lo scorso anno. Quando le banche hanno detto basta, infatti, per cercare di salvarsi, le imprese edili sono tornate a battere cassa dai committenti. L'aut aut è stato chiaro: o paghi o non terminiamo i lavori.
I più fortunati sono riusciti a coprire le spese attingendo alle proprie risorse finanziarie, ma chi non ha avuto questa possibilità si è ritrovato, di fatto, fuori di casa, con lavori cominciati e mai ultimati.

 

Superbonus: possibili soluzioni

La situazione ha scatenato scioperi ovunque, lungo lo stivale, mentre il Governo esaminava come correre ai ripari. Per cercare di non far collassare le economie locali, alcune Regioni hanno tentato un intervento, scontando i crediti, ma l'ultima modifica introdotta dal Governo ha bloccato anche questa possibilità. 
Oggi, l'ipotesi più attendibile è l'azione di enti partecipati dallo Stato, in primis la Cassa Depositi e Prestiti, che potrebbe rilevare il monte crediti e smaltirlo quasi senza difficoltà.

Un altro salvagente è stato lanciato alla compagine Meloni dai dirigenti di Enel X: la società sarebbe, infatti, pronta a prendere in carico la patata bollente, a condizione che il Governo le conceda di poter eventualmente cedere nuovamente i crediti, ovvero da agire come una sorta di ponte. 
Finora, però, si tratta solo di una proposta che andrà vagliata e regolamentata, nel migliore dei modi.
Nel frattempo, si valuta se sia opportuno bloccare l'incentivo statale, almeno fino a quando l'imbuto dei rimborsi non verrà liberato.